Un film di
Francesco Corsi
Con
Giovanni Bartolomei, Giovanna Marini, Jamie Marie Lazzara, Andrea Fantacci, Alberto Balia
Genere
Documentario
Durata
79'

La storia di Caterina Bueno, cantante italiana ed etnomusicologa, che ha svolto tra gli anni '60 e '70 un importante compito di ricerca all'interno della musica popolare italiana. Un racconto che si snoda tra le immagini e le parole di una delle maggiori interpreti del folklore musicale del tempo e del nostro Paese. È stato proprio grazie a Caterina che molti canti popolari e della tradizione contadina, trasmessi fino a quel momento soltanto oralmente, sono potuti sopravvivere fino a oggi, non rischiando di essere completamente abbandonati all'oblio. Il percorso artistico e di ricerca della Bueno ha intrecciato più volte quello di altri intellettuali dell'epoca, come Dario Fo, Pier Paolo Paoslini, Umberto Eco, Francesco De Gregori e molti altri. Caterina Bueno, morta nel 2007, è oggi una delle più grandi etnomusicologhe che hanno segnato il mondo culturale e, soprattutto, musicale italiano, apportando contenuti agli studi di questa disciplina e diffondendo gran parte dei canti riscoperti, grazie anche alle sue esibizioni.

"Erano gli anni Sessanta. Il fido registratore Geloso a bobine caricato sulla Cinquecento bianca, un buon rifornimento di sigarette, una cartina del territorio riempita di indicazioni a matita, a indicare percorsi e snodi fondamentali per la ricerca. Luoghi già frequentati, posti da riprendere in considerazione per ulteriori ricerche. Poi via, un paesino dopo l’altro, una frazione aggrappata a uno spunzone di roccia o nascosto dietro alle colline. Uno in fondo a una vallata. Poi lei, la ragazza col cappello e la voce fascinosa sempre più arrochita, Caterina Bueno, scendeva dalla macchinina affaticata, e iniziava approccio-trattativa con quella gente incuriosita e spesso un po’ ispida. Sapeva parlarci, non li considerava bizzarre rappresentanze esotiche di un mondo contadino che andava già sparendo, ma, da musicista ricercatrice anarchica e libertaria qual era, «alberi di canto», come dicono gli antropologi. Testimoni. Gente che poteva ancora conservare una scheggia melodica pregna di significati da decrittare un attimo prima che la scomparsa biologica se la portasse via. Caterina era bella, ma aveva anche un caratterino diretto da «òmo», per dirla alla toscana. Non aveva bisogno di ricorrere alla civetteria ipocrita, per instaurare un livello reale di comunicazione. Li faceva cantare, si faceva insegnare, ci cantava assieme. Scoperchiava un universo complesso di simboli, storie, abilità, competenze negate, neppure supposte da parte dell’arrogante borghesia toscana, quella rappresentata da quella signora che, alla prima dello spettacolo Bella ciao, 1964, (quando Caterina era sul palco con Giovanna Marini e gli altri del Nuovo Canzoniere Italiano) si mise
a gridare che non aveva pagato un biglietto per vedere cantare «la sua donna di servizio»." (Guido Festinese, Il Manifesto)

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