I figli del fiume giallo
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Diciassette anni di storia della Cina contemporanea. La ballerina Qiao ha una storia con Bin, boss della malavita di una piccola città mineraria del nord del Paese. Per salvare la vita al compagno la donna finisce in carcere e ci passa cinque anni. Quando esce lui però l’ha già dimenticata e si è trasferito a sud, nella regione della diga delle Tre gole. Gli anni passano e i due, legati indissolubilmente, finiscono per ritrovarsi proprio là dove tutto era iniziato. Anche se il tempo, la vita e il destino hanno riservato loro un trattamento molto diverso.
Prima che una storia d’amore il film è soprattutto un contenitore di ricordi, episodi, storie d’amore, esperienze di vita e sentimenti che messi tutti insieme non mostrano necessariamente le trasformazioni di cui sopra, ma le fanno avvertire, lasciano che traspaiano dal testo filmico e ne divengono l’essenza. Perché il cinema di Jia è qualcosa difficile da sezionare, analizzare o cercare di comprendere per momenti isolati, per compartimenti stagni o simboli (di cui pure è ricco), ma va preso piuttosto come una sorta di opera lirica in cui elementi diversi concorrono, ognuno a suo modo, a dar vita al tutto. (Lorenzo Rossi, Cineforum.it)