Piazza vittorio
Nel centro di Roma, la storica piazza ottocentesca di stile umbertino, cuore pulsante del rione Esquilino, in cui già Vittorio De Sica ambientò una delle più incantevoli sequenze di Ladri di biciclette (1948), oggi si divide tra bellezza e degrado. L’occhio del regista newyorkese Abel Ferrara si posa sul fascino del suo latente splendore, che oggi ospita un microcosmo di etnie e classi sociali delle più varie, artisti del cinema, clandestini, clochard e commercianti, e sulle sue contraddizioni, sintesi amplificata di una realtà nazionale ancora irrisolta. Un videodiario d'autore che è diventato un documentario, Piazza Vittorio offre una rappresentazione viva di un’umanità sospesa tra accoglienza, paura, integrazione, difficoltà e rifiuto attraverso immagini, musiche, volti e storie del passato e del presente.
"…Eppure Ferrara non ha paura di sporcarsi le mani e di affrontare anche gli aspetti più controversi. Emerge in filigrana il racconto di un quartiere/mondo in difficoltà per la crisi economica e sociale, e che proprio per questo fatica a stare insieme. C’è chi rimpiange i vecchi tempi andati, quando Piazza Vittorio ospitava uno dei più importanti mercati della città. Chi si lamenta della sporcizia, della confusione, del degrado (anche se poi le immagini di repertorio ridimensionano certe visioni idilliache del passato). E chi, come un signore senegalese, prova a smarcarsi dai nuovi flussi migratori, contrapponendo se stesso e la propria esperienza da quella delle nuove generazioni di africani, incapaci a suo dire di integrarsi nel tessuto culturale del paese. In questo senso il film rappresenta un importante documento storico sulla confusione, lo smarrimento che viviamo nell’epoca attuale. Epoca che trova delle segrete corrispondenze con la crisi del Ventinove, evocata da Ferrara attraverso le parole di Do Re Mi di Woody Guthrie che canta degli americani del Sud, dell’Oklahoma, del Kansas, della Georgia o del Tennessee che sognavano di trasferirsi in California, vista come una sorta di giardino dell’eden. E allora tra set e immagini d’archivio, suggestioni e rimandi di ogni tipo, emerge la questione centrale del film: chi può dirsi davvero cittadino di un quartiere, di una città, di un paese? Attraverso tante scene di banale vita quotidiana – che solo un animale da set come Ferrara è capace di trasformare in schegge di cinema purissimo – si fa strada la visione profondamente umanista del film. Non importa dove tu viva, nei parchi, nei vicoli, sotto i portici o in una confortevole casa borghese. E non importa neanche da dove tu provenga. La sola cosa che conta davvero è la battaglia personale che tutti conducono nel proprio incerto e precario stare al mondo. (Staying) Alive in Italy. (Giulio Casadei, pointblank.it)