Dal 03 Maggio 2019 a 08 Settembre 2019

Elisabetta Catalano. Ritratti dell’arte: 30 scatti di una delle più importanti fotografe italiane che, attraverso i ritratti di grandi personaggi del Novecento, si è fatta testimone della storia d’Italia dagli anni Settanta ai giorni nostri.

La mostra

Dalla collezione Massimo Minini

Elisabetta Catalano è la mitica fotografa romana che ha ritratto nei ‘60/‘70/‘80 tutti i grandi di passaggio o di stanza a Roma. In quegli anni la città eterna non era solo la capitale italiana ma una delle città più importanti al mondo.

Siamo nel dopoguerra, la ricostruzione, il miracolo. L’Italia ha perso la guerra ma vinto la pace. Anche se siamo sotto controllo, come vedremo; l’italiano è felice, canta, nasce Sanremo, Cinecittà impazza, attori da tutto il mondo vengono a Roma dove si girano colossal come Ben Hur o I dieci comandamenti, dove il neorealismo (poveri ma belli) ci porge un’Italia in bianco nero con i film di De Sica, Rossellini, Monicelli, dove si può beatamente girare in Vespa sul sellino posteriore con le gambe accavallate come Audrey.

L’Italia un po’ più scafata si presenta invece con Fellini, Antonioni, Visconti: un tris d’assi impareggiabile, con vette mai più raggiunte dopo.

Elisabetta è lì e proprio sul set di otto e mezzo fa la sua prima apparizione. Fellini la chiama, una piccola parte, poi lei impugna la macchina fotografica e subito si accorgeranno del suo talento.

Lo affinerà negli anni in cui il cinema esplode. Con Monica Vitti, Stefania Sandrelli, Claudia Cardinale, Lucia Bosè e Silvana Mangano, con gli shorts più hot mai visti (per quei tempi).

Nonsolocinema, nonsolomoda, Valentino e le Fendi, le sorelle Fontana e Capucci, via Veneto con i paparazzi, colleghi di Elisabetta come Tazio che becca Walter Chiari con Ava Gardner e viene preso a calci.

E che dire degli scrittori: Roma è la citta di Pasolini, Moravia, Calvino, Parise, Sciascia. Tra chi scrive i più vicini erano i critici d’arte e gli storici. Inutile ricordare Brandi, Zeri, Argan, Briganti, Fagiolo dell’Arco, fino a Crispolti, Calvesi, Bonito Oliva.

E per Elisabetta è un invito a nozze. Dicono i detrattori che facesse foto patinate.

Forse, ma era la patina di quei tempi, di Aichè Nanà che faceva il primo spogliarello, di Mastroianni, la patina dei dipinti di Schifano, Angeli, Festa, Titina, Accardi, Burri, Kounellis, Giosetta…

Era anche la città dei politici, Roma capitale, e Catalano ritrae molti di loro, ma non Aldo Moro che si nega nella sua algida difesa anti mondana. Andreotti invece ci sta e si mette sul poggiolo in poltrona con il cupolone alle spalle e le dita incrociate in modo strano, un po’ come mi pare facciano certi Massoni. Chissà se era voluto o casuale.

Scorrono tutti gli anni ‘50 e ‘60 e lei fotografa o meglio ritrae, erede di Eva Barrett, Ghitta Carell, Ghergo; tutti passano dal suo studio, a volte lei esce per delle incursioni, specialmente con gli artisti.

Tra questi il suo lungo legame con Fabio Mauri che porterà una serie di foto/opera indimenticabili come “Ebreao “Ideologia e natura”.

Intanto i politici tramano, i pittori dipingono, i cineasti girano, Aldo Moro non si fa ritrarre e lancia il compromesso storico con Enrico Berlinguer. Andreotti osserva.

Il Vaticano oltre Tevere passa da Papa Pacelli Pio XII a Giovanni XXIII; una rivoluzione, il discorso della luna, il Vaticano Secondo, poi Paolo VI, bresciano Montini, che chiude il Concilio, inizia i viaggi, scriverà una famosa lettera agli artisti per riavvicinarli alla Chiesa.

A Paolo VI toccherà di scrivere anche una accorata lettera agli uomini delle brigate rosse per chiedere il rilascio di Aldo Moro. Riletta oggi fa tanta tenerezza: allora pochi sapevano quale verminaio stesse dietro a questo rapimento. Le Brigate non possono rispondere. In effetti il rapimento non l’hanno fatto loro ma i servizi segreti italiani con il Mossad, con gli inglesi, col KGB e con la CIA (tutti presenti quel giorno in via Fani) che non ci perdonano la vicinanza coi palestinesi e lo sgarro sul petrolio, quello sgarro che portò Enrico Mattei a morte come Moro. Con i servizi francesi dentro fino al collo nel caso di Ustica.

Andreotti osserva, le dita incrociate, par che dica: tocca ferro, non si sa mai, e poi lui non ha bisogno di toccare la gobba di nessuno: ce l’ha di suo.

La lettera di Papa Montini non serve. Moro è in prigione da qualche parte. Un centinaio di persone sanno esattamente dov’è, altri fanno sedute spiritiche per cercarlo. Gli unici che non lo cercano sono quelli che sanno dove è Aldo. Ci arrivano vicino. Bussano gentilmente alla porta (pum pum chi é? La Polizia, diceva in quei giorni Dario Fo), nessuno risponde, e se ne vanno.

Dalla Chiesa lo trova ma viene fermato. Piccoli chiede aiuto alla banda della magliana. Lo trovano in due giorni ma vengono zittiti. L’ordine arriva dal Viminale….

Kissinger glielo aveva detto d’altronde: ‘se vai avanti, se apri ai comunisti sei morto. Hai presente, gli dice in una saletta riservata, come ho cucinato Salvador Allende? Ecco, così´.

Ed è in quei giorni che Berlinguer conia la famosa affermazione degli spaghetti in salsa cilena, una salsa che nessuno vorrebbe assaggiare. Troppo piccante.

Indimenticabile il golpe in Cile, con i blocchi ad oltranza dei camionisti, finanziati dagli USA con gli aerei che bombardano la Moneda, con Pinochet che farà 400.000 morti almeno.

Quel giorno fatidico (il 16 marzo 1978) il Viminale, che assegna quotidianamente gli itinerari dei politici sotto scorta, e lo fa all’ultimo minuto per maggior protezione, suggerisce per Moro via Fani dove invece da ben due giorni stazionano e si preparano una ventina di mezzi e uomini. Tutto pronto ragazzi? Si eccolo arriva pronti, via, si gira. Ciak. Pare un film. Potrebbe essere di Elio Petri, Todo Modo o La decima vittima. Moro arriva con le sue borse e cinque agenti di scorta. Le Bierre che per loro ammissione non sanno sparare questa volta non sbagliano un colpo. Uccidono tutti, Moro nemmeno un graffio. Operazione da manuale eseguita da professionisti.

Mafia, camorra, Ndrangheta, magliana sono presenti e aiutano il buon fine.

Andreotti sta presentando il suo governo proprio quel giorno.

Luciano Fabro, ignaro di tutto (e come avrebbe potuto saperlo?) presenta il suo uovo di bronzo alla Fontana delle Api di Bernini, proprio all’attacco di via Veneto dove Walter Chiari era inseguito da paparazzi e Marcello guardava Anitona col micio in spalla e dove la Madonna di Otto e mezzo, portata dall’elicottero, volteggiava nel cielo sopra Roma, prima di spostarsi sopra Berlino.

Marcinkus, lo Ior, Licio Gelli, Sindona erano già al lavoro. Il patto Stato-mafia funzionava perfettamente da mo’. Era dai tempi di Garibaldi, ma nessuno se n’era accorto, tanto che oggi si crede sia nato ai tempi delle telefonate tra Mancini e Napolitano. Viene da ridere.

Moro viene ucciso e con lui Roma è finita. Più niente da vedere, niente da nascondere, niente da fotografare, avrebbe detto Alighiero Boetti, attratto da Roma e da Schifano. Albertone cerca di farci ridere, addirittura nel tassinaro carica Andreotti e fanno un gran giro per Roma, dicendo un mucchio di ovvietà. Gassmann passa dalla tragedia del teatro alla commedia dell’Armata Brancaleone, quel gran pezzo dell’Ubalda cerca di attirare la nostra attenzione e ci riesce. Così tra piazza Fontana e Ustica, tra Brescia e l’Italicus, tra Junio Valerio Borghese e Edgardo Sogno, tra Peteano e Gladio, tra i Gheorgofili e il PAC, l’Italia veleggia in un mare in tempesta. Te lo do io Sanremo. Andreotti bacia Totò, dicono, ma non ci credo, non ne aveva bisogno. In Sicilia il suo feudo è fortissimo; Berlusconi prenderà il suo posto con 61 seggi su 61 dopo mani pulite. Le mani ce le hanno tutti sporche, solo Andreotti no, forse se le è lavate bene. Lavarsene le mani è sempre stata una buona precauzione, così non restano impronte digitali.

Elisabetta cerca di rianimare la situazione, ma il tempo è passato, cosa può fare una ragazza sola e indifesa con una Olympus a tracolla? Ormai le foto che interessano sono quelle di Pecorelli riverso, di Dalla Chiesa massacrato, di Pasolini a pezzi, di Falcone saltato, come Borsellino, Livatino, Scaglione e Tartaglione.

Se volete a livello planetario ci sono tre foto indimenticabili: Kennedy e Jackie a Dallas, le torri gemelle che fumano e Aldo Moro nella Renault, rossa naturalmente.

E le immagini di Elisabetta Catalano, inclusa quella di Andreotti, che ci parlano di un’epoca d’oro, felice, creativa, quei magici trent’anni in cui Roma era tornata a essere caput mundi, come duemila anni addietro, allora prima delle invasioni, oggi prima dell’uragano.

Massimo Minini,

Galleria Massimo Minini