Due linee di narrazione che procedono parallelamente. Da un lato lo sguardo critico sulle sue opere, esposto con lucidità e semplicità da Laura Cherubini, Luca Massimo Barbero e Bruno di Marino, dall’altro il racconto personale e particolare della sua vita, del suo lavoro quotidiano, dei suoi affetti, affidato alle voci della famiglia…
Ma le due linee di racconto, in realtà, non possono essere disgiunte, perché Franco era il suo lavoro: Franco non faceva il pittore, era un pittore, era un artista. E come dice sua moglie Livia, lavorava incessantemente, “come fosse in miniera”…
Lontano dalle immagini colorate e riconoscibili della Pop Art, dalla letteratura che vuole i pittori romani degli anni ’60 simili a delle rock star, contornati da donne bellissime, dal lusso e dall’eccesso, il mio documentario ha, per sua naturale genesi, uno sguardo familiare e intimo. 150 opere – ma avrei voluto metterne dieci volte di più – 50 fotografie – molte delle quali elaborate da Franco – inquadrature tratte dai suoi film girati in 16mm con la sua Beaulieu con carica a molla o con l’Arriflex, le testimonianze, la musica di Maria Angeli, il carattere familiare del racconto, tutto questo per iniziare solo a tracciare l’immagine e il profilo di Franco Angeli, mio zio, uno dei maggiori artisti della seconda metà del novecento.