Dal 10 Maggio 2024 a 31 Dicembre 2024

Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia presentano al Museo di Santa Giulia il restauro dell’affresco Madonna in trono che allatta il Bambino, incoronata da quattro angeli (1525 circa) di Andrea Marone da Manerbio.

Informazioni e Prenotazioni
Tutti i giorni dalle 10:00 alle 18:00. Festivi esclusi.

L’opera

1525 circa
Affresco (stacco a massello)
Ingresso: 1878, dalla chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano, Brescia.

L’opera, restituita alla sua piena leggibilità e visitabile dal 10 maggio presso il Museo di Santa Giulia, è destinata a rimanere a lungo esposta nel percorso museale, in dialogo con la crocifissione dei dolenti santa Caterina e san Girolamo nella cappella della Madonna della basilica di San Salvatore e con la morte di Sant’Obizio, sempre in San Salvatore.

L’affresco, descritto con toni lusinghieri dal pittore e scrittore d’arte bresciano Francesco Paglia, proviene dall’esterno della chiesetta cittadina dei Santi Ippolito e Cassiano, un tempo esistente tra piazza Martiri di Belfiore e via Gabriele Rosa e demolita nel 1904, dove la Madonna del Latte trovava posto, entro un altarino in muratura, sulla parete meridionale dell’edificio. Il soggetto è uno tra i più ricorrenti della tradizione iconografica cristiana: la Vergine, assisa in trono, dispiega la mano sinistra in segno di. accoglienza, mentre sulle ginocchia sorregge il Bambino che, trattenendo il seno della madre, interrompe l’allattamento rivolgendosi all’osservatore.
L’autore del dipinto è stato solo recentemente identificato con Andrea Marone da Manerbio, esponente di una famiglia di artisti probabilmente originaria del Sebino ma ben radicata in città. Come osservato da Fiorella Frisoni (2018), il pittore nel corso della sua attività condotta tra Brescia, la Bassa Bresciana e il Lago d’Iseo, manifestò “un orientamento diverso dalla straordinaria esperienza dei tre grandi” (Moretto, Romanino e Savoldo), prendendo come punto di riferimento non tanto Venezia, quanto Cremona, Lodi e Milano, ma anche le zone dei laghi lombardi, fino al Canton Ticino. I suoi modelli sono infatti da riconoscere in artisti quali i cremonesi Boccaccio Boccaccino e Galeazzo Campi, i lodigiani Piazza, fino al Bernardino Luini degli affreschi milanesi di San Maurizio al Monastero Maggiore (anni venti del Cinquecento). Il riflesso di questi orientamenti di stile si coglie anche nell’affresco bresciano, come si evince dall’eleganza formale dei volti, resi con delicate lumeggiature tratteggiate, dai panneggi ridondanti e falcati, dalle stesure cromaticamente calibrate. E se l’impaginazione complessiva si connota per un assetto arcaico – quasi neo-medievale, a osservare l’impostazione ancora quattrocentesca degli angeli del registro superiore – sono i dettagli, valorizzati dal recente restauro, a fare la differenza in termini di qualità: i riccioli filamentosi del Bambino, i riflessi smaltati delle unghie, gli inserti dorati delle aureole e della corona e dello scollo della Vergine.
Lungo il percorso espositivo del Museo di Santa Giulia, all’interno della chiesa di San Salvatore, si possono ammirare altri affreschi attribuiti ad Andrea Marone da Manerbio: il Crocifisso con i dolenti, santa Caterina d’Alessandria e san Girolamo nella cappella della Madonna e la Morte di Sant’Obizio, sull’ordine superiore della parete che separa l’aula della chiesa dall’adiacente coro delle monache.
L’affresco, che era oggetto di una sentita devozione popolare, fu staccato nel 1878 dal restauratore bresciano Giuliano Volpi su incarico del Comune. L’intonaco dipinto fu rimosso insieme a una significativa porzione di muratura retrostante: questa particolare tecnica estrattiva è detta stacco a massello.

Nicola Turati

Il restauro

Restauro eseguito nel 2024 dallo Studio Diagnostica Restauro di Massimiliano Lombardi grazie al sostegno di Ingegneri Progettisti e Affini.

Nel campo della conservazione dei dipinti murali è occasione assai rara affrontare interventi su stacchi a massello. La tecnica dell’estrazione prevedeva operazioni piuttosto complesse ed onerose, destinate quindi a manufatti di riconosciuta importanza e pregio artistico. Storicamente le motivazioni che conducono allo stacco di un dipinto sono essenzialmente determinate da fattori indotti dal costruito architettonico che lo ospita: precarietà dell’architettura, necessita di demolizione, o, soprattutto in passato, problematiche d’infiltrazione o risalita d’umidità.
L’opera di Andrea Marone, che è arrivata a noi in condizioni conservativamente complesse, presentava evidenti danni causati dalla presenza di sali che hanno craterizzato e polverizzato la superficie del dipinto, causando un’abbondante perdita di materia pittorica in modo particolare nelle aree inferiori. Il manufatto, di pregevole fattura e abile mano, venne dipinto su un sottile strato di tonachino liscio e compatto a base di calce e inerti finissimi. Le stesure a buon fresco furono seguite da preziosi interventi a secco con l’utilizzo di leganti proteici: in modo particolare si trovano tracce di malachite e azzurrite utilizzati per il manto della Madonna e per il velo sorretto dagli angeli. L’utilizzo della doratura, abbinata a decorazioni in tempera magra e lacca, impreziosisce la corona della Madonna, il colletto dell’abito, la cinta e le aureole.
La pulitura ha rimosso dalla superficie un omogeneo strato grigio opaco essenzialmente costituito da depositi di particolato atmosferico e nero fumo, ma anche da colle animali fortemente degradate e adesivi applicati negli interventi precedenti. Va segnalato, a malincuore, che il complesso vissuto, le operazioni di stacco e i successivi interventi hanno determinato la quasi totale perdita delle preziose finiture pittoriche a secco.
Le superfici sono state accuratamente osservate in microscopia ottica a luce polarizzata, con verifiche locali in ripresa UV: questo ha permesso di affinare la conoscenza delle tecniche esecutive e di determinare con precisione qualità ed estensione degli interventi di ridipintura e ritocco. I precedenti interventi di ripresentazione estetica erano fortemente alterati, con numerosi pigmenti in viraggio cromatico con degrado del legante. Il manufatto è stato interessato al momento dello stacco, ma anche negli interventi successivi, dall’uso di colle d’origine animale che erano abbondantemente presenti sulla superficie e che sono parzialmente permeate negli strati interni. Si è reso necessario preliminarmente, e a verifica dopo la rimozione, lo studio delle superfici dal punto di vista microbiologico, per calibrare il trattamento biologico e programmare le fasi conservative. Sono stati effettuati nelle diverse fasi numerosi rilievi con tampone, poi analizzati con il metodo della bioluminescenza strumentale da luciferasi.
Dopo la pulitura il dipinto è stato sottoposto a un puntuale consolidamento con lo scopo di ridare coesione al colore e permetterne la futura conservazione. Sono state realizzate alcune stuccature a risarcimento delle lacune presenti; a seguito è stato effettuato un lungo intervento di ritocco puntuale ad acquarello, che ha permesso il recupero della leggibilità generale dell’opera pur mantenendo manifesti i segni del complesso vissuto.

Massimiliano Lombardi