A cura di Elettra Stamboulis

Skira editore

Due anni e nove mesi di prigione per un disegno su Twitter e una lettera di una bambina di dieci anni pubblicata: questo periodo è diventato l’occasione per mostrare che la resistenza che passa attraverso l’arte non si può ingabbiare. Sostenuta da artisti come Banksy e Ai Weiwei durante la detenzione, ha affrontato con cocciutaggine e inesauribile ottimismo insieme alle altre la prigionia.

È nell’uso del plurale, in quel verbo avremo, che ci coinvolge tutti,  che consiste la chiave interpretativa della pratica artistica della giovane artista e giornalista curda del sudest della Turchia.

La potenza immaginifica della sua mano è il risultato della riflessione e della relazione di una specifica collettività, quella delle donne detenute con Zehra nelle prigioni di Mardin, Diyarbakir, Tarso. L’ha guidata la fede nella potenza liberatoria e nella possibilità di cambiamento positivo dell’arte.
“Non devi voltare le spalle alle fonti che ti nutrono. Sono nata in Curdistan. Sono cresciuta e mi sono formata con i disegni del Curdistan, e queste ricchezze hanno dato senso alla realtà. Sì, le ingiustizie e i massacri in cui viviamo sono una terribile disgrazia, ma abbiamo anche meravigliose opportunità […]. Può essere considerato quasi un lusso. Questo deve essere ben compreso e ben interpretato. Voltare le spalle a questa realtà sarebbe un grande errore”.
Fedele alla sua terra, è costretta oggi a un auto esilio che non ferma però il suo pennello.

Il catalogo è disponibile anche presso il bookshop del Museo di Santa Giulia.

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